giovedì 20 aprile 2017

Libri e lentezza.

Le mie letture ultimamente vanno molto a rilento, temo infatti che leggerò ancor meno libri rispetto agli anni precedenti, ma c'è qualcosa d'altro che va ancora più a rilento: me che scrivo post sulle mie letture. Forse è il caso che io dia una smistata agli affari letterari.
Non che io mi definisca una critica letteraria, eh. Sono solo una appassionata della parola scritta che in vita sua ha letto circa due centinaia di libri (alcuni riletti innumerevoli volte). Perciò delle letture dello scorso anno mi resta da spendere qualche parola su una manciata di racconti. Che dire, sono stata piuttosto lavativa in questo settore. Però ho sistemato una parte dei miei libri, circa un quarto.



Ora, il primo su cui mi soffermo brevemente è Il cacciatore di ossa, di Stuart MacBride. E dico "brevemente" perché il bigliettino allegato l'ho perso e si tratta di un libro prestato (e quindi restituito al legittimo proprietario), nel luglio 2016. La storia si basa sulle vicende del detective Logan McRae, caduto in disgrazia dopo aver risolto un caso difficile perché in una missione da lui guidata un suo collega viene ferito e in seguito al coma muore. Così Logan viene affidato dal suo capo ad un gruppo di agenti noti per essere gli sfigati falliti del dipartimento, capeggiato dalla lesbica più grezza e dal vocabolario più scurrile che io abbia mai incontrato. Logan si ritroverà quindi a dover risolvere un caso o a rischiare il suo posto di lavoro; il delitto riguarda una prostituta crudelmente picchiata e nessuna pista da seguire. Contemporaneamente, l'ispettore Insh, un gigante ripieno di caramelle, chiede a Logan di dare una mano anche in un altro caso: un piromane che prova piacere nel dare fuoco alle case dopo aver sigillato al suo interno gli abitanti. Un poliziesco "carino, leggero".


Dopo è stato il turno di Jack&Jill, scritto da James Patterson. Questo mi è piaciuto molto! Ci sono tanti eventi, tanti colpi di scena, con un finale che sembra non voler finire mai e non lasciare più tranquilli. La trama: una coppia di assassini uccide personaggi famosi e di rilievo a Washinton, come senatori e altri politici, attori, ricconi di varia specie; in ognuna delle scene del crimine viene trovata una poesia firmata Jack & Jill, che ammette il delitto, che lo giustifica e promette di compierne altri fino ad arrivare al vero obiettivo: il presidente degli Stati Uniti. Per cercare di identificarli collaborano forze di polizia, federali e servizi segreti. Tutto ciò che riescono a capire è che, per il modus operandi, uno dei due deve essere un ex mercenario della CIA sfuggito al controllo. Anche perché "Jack e Jill" sono gli pseudonimi che la sicurezza utilizza per indicare il presidente e sua moglie. Nel frattempo il detective Alex Cross si dedica anche ad un'altra indagine, che vede come vittime dei bambini che frequentano la stessa scuola dei suoi figli, bambini prima circuiti per essere portati in luoghi riparati e poi colpiti senza pietà con mazze da baseball. Libro consigliato, anche per chi non sopporta le descrizioni cruente e troppo dettagliate di un delitto (niente splatter insomma).


Dalla mente di Elizabeth George, ho letto un bel malloppo di oltre settecento pagine in caratteri minuti. Cercando nel buio è un affare losco, che riguarda l'investimento volontario e omicidio di Eugenie Davies, madre di un noto ex bambino prodigio del violino ora ventenne, Gideon, il quale nello stesso periodo soffre di un complicato blocco dell'artista: durante un concerto si blocca e da quel momento in poi non riesce più a suonare, né tantomeno a prendere in mano il suo prezioso violino. Le indagini vanno molto a rilento, ma pian piano gli altarini si scoprono: uno dei pezzi grossi della polizia aveva già conosciuto Eugenie, in quanto aveva partecipato alle indagini sulla morte per annegamento della figlia con la sindrome di down (dove i pregiudizi hanno svolto gran parte nella sua conclusione, indicando come colpevole Katja Wolf, la bambinaia tedesca dal passato mirabolante, scappata dalla Germania dell'est tramite mongolfiera). In questo tomo ci sono molti personaggi ma poche svolte, la storia volge lentamente. Le svolte più succose vengono fuori dalla terapia psicoanalitica di Gideon: la terapista lo convince a scrivere tutto ciò che ricorda della sua infanzia e all'inizio ciò che gli viene in mente è davvero poco. Non ricordava neanche l'esistenza di sua sorella, quindi neanche del processo, di Katja che era appena incinta e delle varie relazioni che c'erano in casa. Nella casa abitavano insieme al nonno con terribili crisi di furore dovute al trauma della prigionia durante la guerra, la nonna che badava agli "episodi" del nonno, una madre che dapprima fa il doppio lavoro (per allevare il piccolo genio di Gideon occorrono soldi) e dopo la morte della figlia svanisce, un padre che per non deludere il suo genitore fa di tutto per far diventare Gideon un pezzo grosso, James l'Inquilino che torna anche nell'indagine per l'omicidio di Eugenie (guarda caso la donna viene investita nella via dove lui abita ed è proprio lui a trovarne i resti), Raphael il maestro di violino e l'istitutrice Sarah Jane, perché le lezioni di violino sono tali da non consentire al bambino di andare a scuola normalmente. Così, in un tenore di vita fatto di fatiche e silenzi, procede l'infanzia di Gideon, dove la terapista lo conduce per trovarvi la causa dei suoi blocchi. Più che un romanzo poliziesco questo mi è sembrato un racconto di vite vissute, ognuno con una trama a sé, con i suoi misteri e segreti, alcuni terribili, altri comuni.


Lo stesso si può dire di Giochi d'ombra di Charlotte Link. Il miliardario ereditiere David invita per Natale quattro dei suoi ex amici nella sua tenuta, non per riallacciare i rapporti bensì per scoprire chi tra loro ha intenzione di ucciderlo e chi è stato a mandargli lettere con minacce di morte. Lui sa benissimo che ognuno di loro, persino la sua fidanzata, ha dei buoni motivi per volerlo morto. Ma David non avrà tempo di scoprirlo, perché dopo la cena viene ucciso da un colpo della sua stessa pistola. La situazione fa tanto "Agatha Christie".
Le indagini quindi portano al racconto di vita di ognuna di quelle cinque persone. La mite Mary vive una vita degradante con un marito violento, alcolizzato e che non l'ha mai amata, l'ha sposata solo perché il padre di lei lo ha pagato; tutto perché David l'aveva lasciata da sola in un pub durante un blitz della polizia, lei si era fatta abbindolare da uno sconosciuto che l'ha messa incinta e poi abbandonata. Per colpa della codardia di David, Steven è passato da figlio di papà a plurigaleotto, Natalie è stata violentata da dei ladri assassini. L'orgogliosa Gina, per una serie di circostanze sempre legate a David, perde l'amore della sua vita. E infine Laura, la sua fidanzata, che David tiene in pugno facendo leva sulla paura di lei di tornare a vivere tra povertà e degrado. Cinque persone dunque potrebbero volere la morte di David, ognuna indica David come colpevole della propria miserevole vita. Solo una persona alla fine gli da la morte, ma nonostante i ladri che erano entrati quella notte per svaligiare l'appartamento, i sospetti delle forze dell'ordine non si limitano ai ladri ma soprattutto agli invitati. Ho fatto un giro on line perché non riuscivo a ricordare un nome e mi sono accorta di aver letto solo belle parole per questo libro; mi sento però di scostarmi dal coro. Questo libro non è per niente un thriller psicologico. Comunque è pur vero che i fattori psicologici sono la parte fondamentale di questo libro: non si tratta di trovare un colpevole di omicidio, quanto di trovare le motivazioni che hanno spinto all'odio unanime verso una sola persona; ogni indagato, ogni racconto, ogni vita sono solo tessere di un puzzle, tutto sembra tendere verso la fine. In poche parole, sin dall'inizio delle indagini la sensazione è che basta leggere per trovare il colpevole, senza intoppi, senza troppe appendici, senza che nulla venga nascosto o intralciato. E così si arriva alla fine, persino piacevolmente. Ho voluto segnare un appunto, tratto dal libro, su cui mi sono fermata spesso a riflettere (Natalie, giornalista strafatta di antidepressivi e valium per tenere a bada le sue fobie):

Ho pensato a un famoso romanzo di Thornton Wilder "Il ponte di San Luis Rey". Un ponte crolla, e cinque persone, che non hanno nulla a che fare l'una con l'altra e che si trovano per caso in quello stesso momento sul ponte, muoiono. Scavando nelle loro vite, si capisce chiaramente perché dovessero morire tutti e cinque quel giorno e in quel preciso istante su quel ponte. Nel romanzo la parola più ricorrente è la colpa, perché nella vita dei cinque, c'è sempre qualcuno che li accusa di qualcosa, che crede che ciascuno di loro sia morto per qualcosa che ha detto o fatto, come se dovessero morire per colpa della loro condotta. Ma la conclusione del libro lascia intendere che la domanda non è di chi è la colpa. Le domande possiamo porle solo al destino, e probabilmente non riceveremmo alcuna risposta. No, anzi, sicuramente. Dobbiamo farcene una ragione. Anche tu Gina.
Gina rimase in silenzio, ma Natalie lesse nei suoi occhi che aveva capito, che lo aveva capito già da tempo ma che, ciononostante, non avrebbe saputo dire perché tutto quel dolore non accennava a sopirsi.


Questo è quanto per il 2016, penso di non avere altre questioni sospese. Parlerò un'altra volta del libro che ho letto a cavallo del cambio di cifra. Au revoir!