martedì 24 febbraio 2015

Panic station.

Per certi versi sarei una fidanzata perfetta: odio fare shopping (se non si tratta di libri) e se proprio devo comprare qualcosa ci vado da sola. Non voglio accompagnamento, neanche in auto.
Perciò qualche giorno fa mi sono detta: non mi serve niente ma c'è il 70% di sconto in molti negozi, tanto vale provare.
Già il fatto che ho avuto bisogno di una settimana per scrivere un post cazzone dovrebbe voler dire qualcosa. E dire che ero già di malumore perché, nei miei 24 anni di vita, avevo iniziato e poi abbandonato soltanto due libri, adesso ho deciso di abbandonare il terzo libro. Non ce la faccio a leggere un romanzo per cui necessito di consultare il dizionario una volta per rigo.
Quindi, visto che sono masochista, me ne sono andata in giro per negozi.
Non l'avessi mai fatto.
Il caos, un girone dell'Inferno, una scarpa strettissima e una larga col tacco di dodici centimetri sui sampietrini. Ecco, capitemi.
Un pittuso (buco) di negozio con mezzo centinaio di persone, ovviamente tutti forti della convinzione di avere una Missione Santa e di essere circondati da infedeli pronti a portarsi via il Santo Graal che appartiene a loro, prima ancora di averne anche solo percepito l'esistenza. In più l'aria condizionata accesa, senza scherzare ci saranno stati 35 gradi (Celsius), mentre io ero impossibilitata a togliermi persino il giubbotto.
Ad un certo punto inizio ad avere vertigini e difficoltà respiratorie; capisco che sta arrivando una mia cara amica: Claustrofobia. Quindi mi fermo, mi costringo a respirare a fondo lentamente e a pensare a qualcosa di innocuo che non sia crearmi una via di uscita dal negozietto a forza di gomitate e calci alle ginocchia.
Sono all'orlo di una crisi isterica e una vocina nella mia testa inizia a urlare: se parte un'altra canzone da discoteca spacco una cassa.
Oh, devo avere qualche potere mentale perché a questo punto parte una canzone che mi piace e che ho apprezzato nella sua ironia: Panic station, dei Muse.


Pussa via Claustrof! Scoppio a ridere, la gente mi guarda ma detto con franchezza non me ne frega un cazzo, e noncurante degli sguardi mi sono pure messa a cantare, nelle mie stonature e con la mia pronuncia orribile. Ma se quel tizio di fronte a me non si vergogna di indossare blue jeans col risvoltino, mocassini scuri e calzino bianco (di conseguenza bene in vista), perché mai IO dovrei provare vergogna?! Muah!

Poi davvero, veramente i negozi espongono roba del genere e GENTE REALE LI COMPRA PER INDOSSARLI???

Mi rifiuto di metterci il mio nome o il nome del blog.


Alla fine, per gratificarmi di essere sopravvissuta e scampata alle vie coi negozi, sono andata in un bar e mi sono presa una fetta di torta al cioccolato.


giovedì 12 febbraio 2015

Face the truth: ovvero la verità sbattuta in faccia.


Disney: si ama odiarli e si odia amarli. Croce e delizia di noi piccoli sognatori cresciuti in mezzo alla bambagia, le VHS coi nastri sporchi, pregiudizi sessisti e sceneggiature in cui animali parlanti e canterini non sono affatto la parte più strana e fantasiosa...
Comunque la descrizione di Peter Pan e di John Smith mi hanno stesa dal ridere. Quindi scusate se oggi sono presa bene e qualche poveraccio viziato e arrogante ne pagherà le conseguenze :D

martedì 3 febbraio 2015

2015 Reading Challenge: Gennaio.

Questo mese ho letto due libri, con i quali ho segnato nove dei cinquanta punti.

Regole e traduzione qui
Prima lettura dell'anno è stato un genere che non leggevo da quasi un anno: romance storico. Perché, diciamolo, sono una che si complica la vita e le cose semplici non mi aggradano. E per quanto mi piaccia lagnarmi dei tempi moderni, credo che il millennio scorso fosse un periodo molto complicato, soprattutto per le donne, dove persino una cosa apparentemente semplice e innocente come farsi un giro in carrozza o a cavallo era capace di rovinare la vita di qualcuno. Il giudizio della gente era tutto, persino la verità contava pochissimo. Comunque, lasciamo perdere i miei vaneggiamenti.

Il libro in questione è Una rosa a mezzanotte, di Anne Stuart (Mondadori, 2012, comprato 1.50 € in un mercatino dell'usato).
La protagonista ha un nome che non saprei pronunciare, né se volessi dirlo in inglese né se volessi dirlo in francese (la cosa mi ha dato qualche problema all'inizio). Lei vive una vita all'insegna della Tragedia, che ha come inizio la Rivoluzione Francese e la conseguente "caccia alle streghe" (gli aristocratici). E l'unica persona che, secondo Lei, avrebbe potuto salvare lei e la sua famiglia aveva voltato loro le spalle con arroganza, indifferenza e un po' di cattiveria, lasciandoli in una situazione pericolosa che prima o poi sarebbe sfociata nella tragedia... E così fu.
Dopo parecchie disgrazie, Lei riesce a fuggire in Inghilterra e conduce una vita semplice, priva di emozione e di qualunque sentimento. Almeno finché non incontra il classico bello quanto dannato Nicholas (massì, mettiamogli un nome che mi piace molto, come se non bastasse l'aria da pecora nera maledetta per farmelo avere già in simpatia), che lei riconosce subito come il ragazzo che una decina di anni prima avrebbe potuto risparmiarle tutto quel calvario e per cui aveva un'infatuazione. Quindi decide di vendicarsi e di ammazzarlo con del veleno nel cibo. Non ci riesce e lui per di più la scopre. Chissà come, Nicholas la rapisce perché decide di portarsela in giro per il mondo mentre scappa dopo aver ucciso un uomo in un duello, tanto per farsi odiare di più. L'uomo infatti mira all'autodistruzione, ad esasperare l'odio che infonde negli altri per cercare di eguagliare quello che prova per se stesso. Ci sono dei motivi per quel desiderio di denigrarsi agli occhi del mondo, per quanto non giustifichino le sue cattive azioni... Come ogni libro romantico, il cattivo bellissimo dagli occhi blu si ritrova in mezzo tra la voglia di umiliarla e distruggerla (e in questo finalmente trovare la propria totale disfatta, che è lo scopo di una vita) e la voglia di sposarsela.
Per certi versi che trovo inspiegabili (non sono una tipa dai sentimenti volubili, affatto), Lei si ritrova combattuta tra il desiderio di vendetta e un altro tipo di desiderio, finché accade l'irreparabile: Lei si innamora. E allora, lo accoppa oppure no?
Ecco, non ve lo dico; chi lo vuole sapere se lo legge (o al massimo mi manda una mail e vi dico per filo e per segno come va a finire).
C'è pure qualche tocco d'azione qui e là (soprattutto alla fine) e tanto per ricordarci che non si scappa dal proprio passato, anche il passato di Lei si ripresenta...
Questo è il quadro più generale che sono riuscita a dare. Ah, e non ho capito la scelta di quel titolo (io l'ho scelto perché costava poco e leggendo una pagina a caso nel mezzo mi sembrava scritto bene, cosa che in effetti è).

L'altro libro è Alex, di Pierre Lemaitre (thriller/poliziesco, anno 2012 in Italia, altro 1.50€ allo stesso mercatino dell'usato): l'inizio è equilibrato, anche se non mi convincono i tempi di alcuni verbi. Descrive la protagonista senza suonare perentorio, senza avere quel tono seccante da insegnante tedioso, del tipo "Si guarda allo specchio mentre pettina i lunghi capelli neri, lasciando che le ricadano morbidi e lisci sulle spalle esili" e baggianate varie; stile lista della spesa, insomma.
Descrive com'è, come è fatta, com'era, in poche righe dipinge un quadro chiaro di chi sia Alex (o almeno così sembra) e ci si ritrova subito al momento in cui cambia tutto. Mi piace come scrive l'autore, senza esitazioni o fronzoli inutili, diretto e preciso, senza tralasciare di presentare in modo rapido ed efficace anche i personaggi più marginali. Mi ha fatto persino provare simpatia per Armand, un avido scroccone senza scrupoli, collega del protagonista Camille.
E' la prima volta che leggo un thriller ambientato in una città che, in un certo qual senso, conosco. Leggevo e non potevo fare a meno di ricordare i giorni precedenti alla mia partenza per Parigi, il mio amico che ci raccomandava di stare attenti, soprattutto noi donzelle, di stare vicine a loro maschi, che ne aveva viste e sentite di cose brutte accadute in quella città bellissima, che Parigi ha un tasso di criminalità altissimo. Non potevo fare a meno di ricordare la sensazione spiacevole che avevo nell'attraversare una piazzetta di periferia brulicante di tossici e spacciatori, ogni giorno, nella via per l'albergo. Persone che, per la verità, non hanno mai fatto un passo verso di noi, ma alle quali per sicurezza preferivo non incrociare lo sguardo. Tutto ciò ha contribuito ad aumentare il brivido, la tensione, anche se devo ammettere che sarei stata sulle spine pure se avesse scelto una città di cui non so nulla. Che adrenalina, gente. Era un sacco di tempo che non mi sconvolgeva tanto un thriller.
Camille, il protagonista, è un uomo che non riesce, o forse sarebbe meglio dire che non vuole, scendere a patti con il proprio dolore. Mai più casi di rapimento, si era promesso, eppure eccolo lì. Costretto a vedersi rinfacciare un dolore molto privato, personale, che lo aveva quasi azzerato. E' un eroe pieno di macchie e di paure, è un uomo comune e assolutamente normale che fa qualcosa di eroico ogni giorno per la portata della sua esistenza.
"Sono il suo genere, i giudizi sferzanti. Camille è un non-violento non esente da durezze." (cit.)
Nei primi capitoli continuavo a chiedermi quanto tempo ancora. Quanto tempo si può sopportare la tortura fisica e psicologica? Quanto tempo occorre a perdere lucidità? Cosa muore prima, la lucidità o il corpo? Come si può resistere a tanto? Ritrovarmi inerme e indifesa è una delle mie paure, se ci si immedesima in un personaggio che si ritrova completamente impotente... beh, fatevi due conti.
La ragazza però è intelligente, piena di segreti e di riserve che la aiutano alla fine a scappare. Ma lei non va dalla polizia come faremmo tutti noi poveri cristi, proprio a causa dei suoi segreti (e della voglia di collezionarne altri). Questo è, in pratica, solo l'inizio.
Personalmente, alla fine del capitolo 49 ero parecchio confusa, ho quasi potuto sentire nella mia testa le urla degli sceneggiatori, del regista e del cast di Criminal Mind. Non so come spiegarlo, ma ho avuto la sensazione che nella logica follia delle cose, questa conclusione fosse poco credibile, improbabile, incoerente. E invece aveva senso, rendendo tutto il libro veramente avvincente, nel bene e nel male.
Sulla copertina avrebbero dovuto scrivere "vietato agli impressionabili", certe scene danno il voltastomaco e altre mi hanno spaventato. E diciamo pure che se avessi dei figli quel libro lo terrei chiuso a chiave in un cassetto...
In sostanza, Alex è una donna piena di sorprese, così come "Alex" è un libro pieno di cose sorprendenti.

Ho già iniziato altri due libri, ma ne parlerò a febbraio, suppongo... Stay tuned ^^