sabato 8 marzo 2014

Angry Maya.

Già il titolo dice tutto e potrei fermarmi qui. Ma è così tanto tempo che non mi è permesso di liberare la mia vena polemica e incazzosa che il misfatto diviene obbligo.



Sono di umore nero tempestoso perché non ho il tempo di leggere, ho quel libro buttato su un tavolo a prendere polvere da un mese. Questo perché, oltre all'impegno parascolastico del pomeriggio, ho trovato una specie di lavoro part-time, sei ore per una miseria. Mai un attimo ferma o qualche banconota nel borsellino.
La sera sono esausta e otto ore di sonno non mi bastano. Durante la pausa del mattino è possibile uscire per andare nell'unico bar della zona; io che in pratica sto ancora dormendo con gli occhi aperti ho un disperato bisogno di cappuccino. Il primo sorso stavo per sputarlo in faccia alla tizia: la schiuma non sapeva di latte, sapeva di ricotta. Il giorno dopo provo il caffè, il mio cervello necessita caffeina (non potendo ottenere un paio di short di rum che mi rimetterebbero in vita). E questo è il primo errore dopo avere accettato l'impegno (e l'essere entrata in quel posto, ndr). Il caffè senza la ricotta la schiuma è pure peggio. Ma cambiatelo il filtro ogni tanto, no? Vi pare brutto? Non vi vergognate di farmi pagare 1.30 per due sorsi di schifezza??? Caffè che in qualunque altro posto mi può costare anche la metà.
La soluzione è farmi una caraffa di caffè a casa e portarmi una borraccia. Un buon caffè è un buon caffè, anche se raffreddato.

In quel contesto ho avuto anche a che fare con una donna che dire irritante è dire niente. Per me lei era, è e resterà sempre Hillary. Non ho mai capito come si chiamasse, non mi restava in mente, lei era una figura onnipresente che faceva domande personali, chiedeva di cose private, le chiedeva a tutti davanti a tutti ma lei no. Lei non diceva nulla di sè. L'ho chiamata Hillary perché era una strana combinazione tra Ilary Blasi e Hillary Clinton. Se i DNA delle due donne potessero combinarsi in un unico essere otterremmo Hillary.

Immagina, puoi.


Essendo a conoscenza dei miei impegni e delle mie opinioni (e nel totale disinteresse riguardo alla mia natura facilmente irritabile) Genitrice ha preso la snervante abitudine di dare via le mie cose mentre non sono in casa. Questo privarmi dell'espressione della mia opinione non mi fa rinunciare alla polemica. Ora, non sono una accumulatrice seriale tipo Sepolti in casa, c'è semplicemente una discreta confusione e un attaccamento verso vecchi oggetti. Un esempio, dopo mesi io ancora non mi rassegno al fatto che, sempre mentre non ero in casa, ha dato via il mio divano. Lo so che aveva più dei miei anni, so che la pelle era mal ridotta, so che non aveva più sostegni tra sè e il pavimento; però quel divano era MIO, lo era diventato quando nessuno lo voleva perché era vecchio e si trovava in un punto della casa poco "vissuto". Lo era diventato perché riposavo più su quel divano in due ore di quanto riposo per otto ore sul mio letto. Lo era diventato perché si accordava perfettamente con i miei libri datati, comprati al mercatino dell'usato. Faceva parte della mia oasi di pace.
Al divano hanno fatto seguito libri, quaderni, borse e per finire ha dato un pacco di miei biscotti a Fratello, che ovviamente li ha finiti. Temo di entrare nella mia stanza e scoprire che manca qualcosa (tranne la tv, quel piccolo esserino dei primi anni duemila che si sta auto-eliminando).
Non so perché ho accettato di andare a ballare stasera, cosa che mi indispone di per sé anche senza contare che sono già nervosa.

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