giovedì 22 novembre 2012

Millennium - Uomini che odiano le donne (D. Fincher, 2011)

Una critica sociologica e finanziaria, un viaggio attraverso dinamiche familiari in condizioni opposte rispetto alle rosee famiglie amorevoli che si vedono in tv, un' indagine dentro personalità disturbate e istinti animaleschi, storie di persone con un passato ingombrante ricoperto di lame e un presente grigio, incerto.
Millennium è questo, ma anche molto di più.

Quando le librerie d' Italia sono piene zeppe di merda cartacea (o ologrammi di banconote), ci si può rendere conto di quanto sia diventato un evento raro trovare uno scrittore/scrittrice realmente capace negli ultimi dieci anni. E uno di quei rari casi, il giornalista svedese Stieg Larsson, è scomparso decisamente troppo presto.
Ho letto la trilogia iniziando molto a rilento, ma con un interesse in costante aumento, fino a raggiungerne la conclusione e desiderare di averne ancora e ancora.
Ma non era per parlare in modo serio dell' autore che sto scrivendo questo post. Non sarei in grado di rendergli giustizia.
Lo scrivo per parlare con toni diversi del film diretto da David Fincher nel 2011, con l' agente 007 Daniel Craig nei panni del giornalista Mikael Blomkvist e Rooney Mara in quelli di Lisbeth Salander.

Già la partenza non era delle più positive: nella mia città non hanno proiettato il film, manco vivessi in cima all'Himalaya e ho dovuto guardarlo in streaming sul pc; in secondo luogo la versione svedese, anche se imperfetta, mi è piaciuta molto e per molti motivi. Poi non capisco la mania (soprattutto) americana per i remake. Cosa vi fa pensare che voi riusciate a ritrarre una società meglio di chi vi ha vissuto?
Ma poi che senso ha far viaggiare una truppa dall' America alla Svezia (e anche in Germania) se non includi nella pellicola qualche scena paesaggistica? America e Svezia non sono mica vicini di casa! C'è da aggiungere anche lo stress e i costi del far viaggiare attrezzature, attori, cameramen, regista, produttori e quant' altro; insomma, non era mica un' escursione decisa all' ultimo momento, sbagliando l' uscita dell' autostrada! E sarà costata fior di dollaroni; per altro vi ritrovate in un posto fantastico, con atmosfere davvero particolari e ve li lasciate alle spalle così? Vi limitate a qualche casuale immagine sfocata, grigia e gretta come può essere qualunque periferia malandata in un posto indeterminato nel mondo?
Ho capito che al regista non gliene frega una beneamata cippa (sarà che non è naturalista manco di striscio), che vuole dedicarsi soprattutto all' aspetto delle indagini, però presta pochissima attenzione al modo di vivere il quotidiano, al loro senso di ospitalità e di buona educazione, i personaggi sono abbastanza ben delineati (anche se con qualche particolare che stona con l' idea che ci si può fare del carattere di uno di loro) ma manca nettamente lo sfondo; è come se recitassero davanti a un muro bianco.


Ho preferito la versione svedese, con il suo ritmo lento e rilassato (sebbene adrenalinico quando era necessario), le riprese assidue di alberi innevati, montagne bianche, laghi e fiumi ghiacciati, piccole baite nelle radure tra i boschi di sempreverdi; il clima freddo sembrava attraversare lo schermo anche in estate, insieme ad un altro tipo di freddo, quello che ti attraversa le ossa nei momenti di paura o di panico.

*Advisor: seguono probabili spoiler*

La scelta degli attori è cosa fondamentale per un film, insieme alla trama.
Partiamo dal presupposto che a me Daniel Craig piace, ma non era tagliato per questo ruolo. Non ha la faccia di un idealista pieno di alti princìpi, non sembra un tenero esemplare di uomo intelligente e di buon cuore (e con questo non voglio certo dire che il signor Craig non pare intelligente o che non possa avere ideali).
Svezia 2 America 0. Il Mikael svedese (Michael Nyqvist) era più azzeccato.
Avrei visto meglio in questo ruolo Colin Firth... Ma questa è una dichiarazione inutile (più di tutte le altre, ndr) perché io vedrei bene Colin Firth quasi ovunque.
Rooney Mara non è così malaccio come sospettavo... Certo, preferisco ancora una volta la Lisbeth svedese (Noomi Rapace) ma questa ragazza fa la sua buona figura: è delicata fuori nonostante gli abiti punk e forte dentro, proprio come si deduce dal romanzo del signor Larsson.
Ben scelta anche Joely Richardson nel ruolo di Anita Vanger, sebbene nel romanzo si veda solo verso il termine, dato che risiede in Inghilterra, mentre qui si vede più spesso.
Altre interpretazioni su cui ho dei commenti sono su Christopher Plummer (Henrik Vanger, un vecchio magnate nel settore industriale che, tormentato dalla scomparsa della nipote sedicenne Harriet avvenuta quarant' anni prima e da misteriosi regali che riceve annualmente per il suo compleanno, assolda Mikael per indagare sui suoi sospetti: qualcuno della famiglia Vanger ha ucciso l' amata nipote) e Yorick Van Wageninger (Nils Bjurman, nuovo tutore legale di Lisbeth, che si rivela un altro uomo della sua vita a tentare di distruggerla).
Henrik Vanger è ben riuscito: nonostante gli ottanta e passa anni, si mostra intelligente, arguto, serio e simpatico.
Questo Bjurman, invece, ha qualche pecca: anche se i maltrattamenti e la violenza su Lisbeth erano inquietanti, crudeli e sadiche come da racconto, orribili quanto sono queste cose, non ha l' atteggiamento del sadico che detiene il controllo della vittima; al contrario, è indeciso, senza personalità, debole. Nel romanzo è un uomo che sa cosa vuole e che non si fa scrupoli nell' ottenerlo, intollerante verso qualunque diniego.

Con la trama, più o meno, ci siamo.
Alcuni particolari mi hanno fatto storcere il naso. Ad esempio, all' inizio; quando Mikael Blomkvist esce dal ministero a seguito della sentenza di colpevolezza per molti capi di accusa (in sostanza la diffamazione del finanziario Hans-Erik Wennerström), l' uomo sentendosi sconfitto e, diciamolo, anche stupido per aver seguito lo specchietto per allodole, non risponde alle domande dei colleghi giornalisti o lo fa in maniera molto vaga. In questo film fuma davanti alle telecamere e risponde male. Mikael ha agito male nel caso Wennerström e onesto com'è ne è consapevole; mi rifiuto di pensare che avrebbe scelto proprio questa occasione per mostrare, in breve, maleducazione e arroganza.
Torna alla redazione del suo giornale, la quale in realtà invece di somigliare ad una cantina ben attrezzata somiglia più alla biblioteca di Malmö (Svezia): grandi vetrate, grandi sale convegni, corridoi pieni di sole... Mah, buon per loro!

Altre piccole sfumature mi hanno infastidita, ad esempio:
- cosa avete contro la birra svedese per far bere a Lisbeth la nota marca americana di bibita gasata?
- mobili Ikea: vi brucia proprio di non averci pensato prima voi, simpatici capitalisti, eh?
- magari in America non si finisce in carcere per diffamazione e cose simili, ma Mikael è condannato non solo a pagare una multa ma anche a trascorrere sei mesi in carcere (nei quali continua le ricerche di Harriet Vanger)
- manca la talpa al Millennium, che ha contribuito ad aiutare Wennerström ad affondare Mikael.

Altre cose mi hanno dato molto più fastidio, ad esempio:
- Henrik Vanger parla a Mikael della nipote, racconta di quanto fosse intelligente, sveglia, allegra, buona e bla bla bla e tu cosa gli rispondi? "Era anche bella". No, aspetta; spiegami la funzione della tua risposta, che volevi fare? Che ti passa per la testa?
- Lisbeth si vendica della violenza fisica subìta tramite un taser, qualche corda, un fallo di plastica, una registrazione della violenza per minacciarlo meglio e un tatuaggio. In svedese e nel romanzo il marchio era un ben descrittivo "Io sono un sadico porco, un verme e uno stupratore"; qui la descrizione si è assottigliata di molto, sia in caratteri che nell' impatto, diventando un riduttivo "Sono un maiale stupratore".
- il colpevole ha volutamente cercato l' incidente in auto, non è morto per caso.
- Lisbeth non chiede il permesso di Mikael per uccidere il serial killer di donne: ci prova nonostante Mikael non voglia. Ricordate? Mikael è il "buono", non accetterebbe un omicidio a freddo.
- non si sa cosa ne abbia fatto la famiglia Vanger della camera di tortura del colpevole; nel libro coprono le sue tracce, non vedendo motivo di infangare il nome della famiglia (il Vanger colpevole è morto).
- nel libro Lisbeth va spesso a trovare sua madre, vittima del compagno che la picchiò fino a causarle degli ictus. Qui non si sa nulla della donna.
- Harriet viene ritrovata in Australia, non in Europa.
- non parla del rapporto stretto tra Harriet e Anita, tantomeno il "fattore somiglianza" tra le due, particolare che fa capire a Mikael un disguido importante.
- nel bosco sparano a Mikael, qui dura pochi attimi e fugge in qualche scena molto sbrigativa. Una farsa, insomma.
- altrettanto sbrigativa è la scena della camera delle torture. Banale, piatto, semplicistico. Si presume che una camera di tortura debba rappresentare tutto l' orrore vissuto dalle vittime.

Alcune scene investigative sono ben fatte, è vero. Ed è più fedele al libro la maniera in cui ritrae il difficile rapporto di Mikael con la figlia e l' aiuto involontario che la figlia gli fornirà riguardo un notevole indizio.


Forse sarei potuta essere più gentile con questo film se fosse arrivato prima di quello made in Sweden, chissà... Fatto sta che i due film hanno impronte decisamente diverse, piccole differenze che nel complesso ne fanno una “storia” facile sia da guardare sia da dimenticare; è un film sterile, senz’ anima. Insipido.

La cosa peggiore è che il regista non ha colto il senso principale del film: è vero che con la sua attenzione verso le indagini ha dato valore alla ricerca della verità e alla lotta contro le ingiustizie, ma non ha parlato della parte più orribile, ossia gli uomini che odiano le donne (già a partire dal titolo, "The girl with the dragon tattoo"), uomini che seviziano donne per soddisfare i propri istinti e i propri desideri e che restano impuniti, la scia di sangue che questi individui si lasciano dietro, almeno fino a quando la vittima o le donne in generale non si metteranno in prima linea ad affrontare il problema e a lottare contro tutto questo.
Le reazioni di Lisbeth, forse eccessive per il buon pensare ma del tutto giustificate, sono da esempio per tutte le donne (e non solo le femministe). Noi possiamo difenderci e DOBBIAMO difenderci, dobbiamo volerlo e dobbiamo agire.
Con questo non intendo istigare alla vendetta, bensì a non lasciarsi intimidire, a lottare con ostinazione.

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