giovedì 19 gennaio 2012

Angolo libro: Ritratto di donna in cremisi, di Simona Ahrnstedt

Non è che qui si fanno solo pseudo-recensioni di libri, ma si vede che ultimamente sono annoiata dal mio solito sarcasmo; per di più, scriverò soltanto dei libri che mi hanno colpita. E questo mi ha colpita e affondata (e a battaglia navale nessuno scherzo vale) già con le prime pagine. Ammetto che il mio desiderio di leggere questo romanzo e non quell' altro deriva dal fatto che l' autrice è svedese e che ha una bella copertina.


Dalla Svezia con furore, immaginavo un thriller sanguinosissimo e non mi sono soffermata a leggerne la trama, non ho nemmeno fatto caso alla scritta sulla copertina "Stoccolma, 1880. Una storia d' amore". In fin dei conti sono grata di questo errore, perchè probabilmente non l' avrei inserito nella mia lista e invece è un romanzo che vale la pena leggere. Un romanzo rosa poco mieloso e spesso amaro, pieno di bugie, equivoci, fraintendimenti, presunti tradimenti e ricatti, violenze, sadici; mai scontato, bensì intenso e ricco di colpi di scena inattesi. Questo romanzo mi ha tenuta incollata a sè per giorni, per molti versi è angosciante, ma si sa, ogni romanzo rosa che si rispetti ha il lieto fine. Tuttavia lo stile non è per nulla Harmony, al contrario. In tempi sospetti (tra i 14 e 17 anni) i libri che leggevo erano i romance storici trovati nella biblioteca di mia madre e senza il minimo dubbio i migliori erano e sono quelli della scrittrice americana Kathleen E. Woodiwiss. Ho trovato molte somiglianze tra la Woodiwiss e la svedese Ahrnstedt, e questo è certamente un complimento molto grande!
Chi l' avrebbe mai detto, anche gli svedesi hanno il cuore tenero.
E in fondo questo libro dimostra che ce l' ho anche io, lo ammetto. Più volte mi sono ritrovata a pensare "Mò basta! Un' altra sfiga no! Dà pace a sti poveri due!"
Voto personale da uno a cinque: 5
Påverkar!

lunedì 9 gennaio 2012

Angolo Libro: L' anima del male, di Maxime Chattam

Una volta tanto vorrei mettere da parte il sarcasmo ed essere (più o meno) seria, quindi questa volta vorrei parlare di un libro che ho recentemente letto.


 E’ probabile che nella versione pocket che ho comprato qualche frase qui e là sia stata tagliata, comunque l’ ho trovato piuttosto ben equilibrato tra le descrizioni dell’ambiente e delle emozioni e il modo di esporre i fatti. Si capisce che l’ autore ha studiato, che si è documentato, insomma ha fatto i compiti per casa e si è impegnato, però a tratti lo stile è cadente: ogni tanto eccede con la descrizione del funzionamento di un laboratorio scientifico, cosa che sinceramente mi ha fatto perdere il punto della situazione più di una volta. Tutto molto interessante, dal mio punto di vista, ma in tal modo rende lettura e attenzione alquanto incostanti. il risultato della storia è abbastanza inquietante, però manca la sensazione angosciante del Male che sta sempre in agguato nell’ ombra. C’è stato un passo, in particolare, che quando l’ ho letto mi sono sentita attraversare da un brivido e un sussulto incontrollato:

 
"Ormai l’ anima non esisteva più, c’era solo un involucro, di pelle e di carne. Poteva farne ciò che voleva, era sua.
Disincarnata.
(...) Alla donna che giaceva sul pavimento del bagno sfuggì un gemito, una sorta di piagnucolio. Lui non vi fece alcun caso. Non vide le lacrime colare sulle guance della giovane donna quando il coltello fece scaturire il sangue. Tutto quello che sentì fu il proprio personale piacere."

 
In un film è relativamente semplice provocare paura o angoscia, mentre è più complicato tradurre in lettere sia la scena oggettivamente in sé sia la reazione e il ruolo della vittima. In questo pezzo Monsieur Chattam ci è riuscito, almeno con me. C’è qualcosa di dannatamente angosciante nel realizzare che un essere umano possa essere nei riguardi di un proprio simile così tanto violento, feroce e al tempo stesso tranquillo e indifferente. Ancor più se a determinare tale azione sia una credenza o un desiderio personale.
Chissà come riesce a dormire Monsieur Chattam, ben sapendo quali sciagure far capitare ai suoi personaggi! Per ora attendo di trovare il resto della trilogia, ma dovendo dare uno scopo a questo post gli do un voto strettamente personale: da 1 a 5, un bel 4 pieno.
Au revoir!

giovedì 5 gennaio 2012

Le disavventure non vanno in vacanza. Mai.

Sono sopravvissuta a cene e pranzi festivi in cui avrebbero potuto mangiare almeno il triplo dei presenti, il tutto con un numero indefinito di chili che presto saranno rotoletti di ciccia (e non venitemi a parlare di “maniglie dell’ amore”). Posso dire addio al mio peso forma. Ma altre cose non sono proprio andate per il verso giusto: prima di tutto, Michael Bublé ha pubblicato un nuovo disco. Chiamatemi ignorante ma la verità è che l’ho scoperto ieri e non ho scuse. Anche se il tono della sua voce da le vertigini da quanto è bello (al punto che non me ne frega nulla di quello che dice), le cose sono cambiate. È un cd natalizio. Cioè, un intero album dedicato alle classiche canzoni di Natale.

Visto che non scherzavo?
Non ho nulla contro il Natale o la religione o chissà che altro. Solo che dopo tre secondi le mie orecchie già gridano pietà. Ma forse, e sottolineo forse, posso perdonare mr. Bublé...

Miseriaccia, a chi la do a bere?! L’ ho già perdonato!

La lista non è finita qui. Siete mai stati al supermercato alle 19.20 della vigilia di Natale, con i bigodini tra i capelli, la maglietta del pigiama sopravvissuta alla corsa clandestina e i parenti che dovrebbero essere in casa vostra da lì a dieci minuti? Ebbene, è il caos pre-apocalittico. Se non lo sapevate, sapevatelo.
Credi di essere l’ unica idiota che ha dimenticato a tempo debito di comprare il Parmigiano e che a quasi ventuno anni si fa sgridare dalla madre, la quale è isterica per i fatti suoi visto che cucina dalle otto del giorno prima per tutta la truppa (sono una pigrona che prende l’ influenza a giorni alterni, fatemi causa per questo). Il risultato è il seguente: via il pigiame e in groppa all’ auto, pregando di non dover girare mezza città in cerca di un pezzo di formaggio. Arrivo al supermercato e mi chiedo se per caso non ho sbagliato posto. Il tranquillo e ridente supermercato che conosco bene non c’è. Essì, mi pareva di essere entrata in una dimensione parallela: banconi vuoti, persone che puliscono corridoi che mai avevo visto tanto pieni di orme e acquirenti dell’ ultimo minuto che corrono tra le corsie con aria quasi assente o prossima alla disperazione al posto dei banconi sempre colmi e in perfetto ordine, i pavimenti sui quali ci si può specchiare e la gente sempre affabile e tranquilla che vi si trova sempre, a qualunque ora del giorno. Tranne la fatidica vigilia di Natale. Temevo che qualcuno mi tranciasse una mano per accaparrarsi l’ ultima confezione di formaggio. Preso quest’ ultimo, tiro un sospiro di sollievo e mi dirigo alla cassa con tutta calma, pensando che tanto c’è la fila e io ho dimenticato di respirare dal primo contatto con il freddo clima. Mi guardo in giro con fare circospetto, tra un corridoio pieno di persone di corsa che fanno l’ autoscontro e un altro deserto quanto L' alba dei morti viventi. E inquietante uguale. Non c’era manco la radio in sottofondo, che spegnerla è l’ ultima cosa che fanno prima di chiudere. E lì mi parte la riflessione: crisi o non crisi è indifferente, ma perché tutta st’ abbondanza? Perché mettere in tavola una quantità industriale di cibo quando sai che la capienza totale degli stomaci dei presenti non può contenere il tutto? Va bene che certe cose si possono mettere in freezer e tirarle fuori nel corso di un paio di settimane. Va bene anche se vuoi pavoneggiarti un poco e chiedere “Vi piace, eh?” sapendo che la risposta è un sì. Va bene se ne approfitti per cucinare e mangiare roba elaborata e piena di calorie che non si ingeriscono da molto tempo. Va bene. Se compri il pesce dal pescatore famoso e la frutta dal solito fruttivendolo è il massimo, se poi anche la maionese è casalinga siamo proprio sulla soglia di un sogno. Passando vicino al bancone dei surgelati mi soffermo a guardare alcune confezioni con cibi precotti e surgelati tipo gamberetti grossi come la mia mano su un letto di maionese stranamente rosa e salmone proveniente da chissà quale posto sperduto tra i ghiacciai (o per lo meno quello che ne resta) dal nome impronunciabile, più altra roba sospetta. Scuoto la testa e vado avanti. Proprio mentre mi dilungo mentalmente sulle possibilità d’ essere di quella roba, un signore mi invita gentilmente a passargli avanti nonostante la cassiera abbia perso innumerevole tempo con un cliente, fosse tarda ora e lui avesse il carrello colmo. Ringrazio e sorrido persino, e penso che forse sono troppo cinica.