giovedì 10 novembre 2022

Tempi bui per una emigrata solitaria.

 "Veramente vivo in tempi bui
riuscivi solo a chiedermi: per quanto?
e ora son diventato buio anch'io"
 
 La ascoltavo durante una delle mie lunghe passeggiate e poi eccomi qui, ancora sudata e impolverata, seduta a terra per non sporcare il divano e mi chiedo come sono arrivata a questo punto.

"E mi cambierò nome
ora che i nomi non cambiano niente
non funzionano più da quando non funziona più la gente"

Io non ho mai funzionato tanto bene. Poi ho aperto questo blog, ho cambiato nome e col tempo (taaaaanto tempo) ho imparato a funzionare discretamente bene. Ora credo di essermi persa e di essere tornata indietro.
Non leggo più, non scrivo più, non faccio più yoga, non riesco a correre per più di duecento metri perché le gambe mi diventano di cemento, dure e pesanti, e i polmoni vanno a fuoco. Ciò che prima mi dava pace non funziona più. La natura dove passeggio non è più un luogo di serenità, anzi non fa che sottolineare la mia condizione di emigrata solitaria. Ma forse ci vuole un piccolo riassunto.

Da dove inizio? Direi dalla pandemia. Si è portata via una delle mie adorate nonne e mi ha rubato gli ultimi mesi che avrei potuto trascorrere con lei. Mi resta questo cieco, velato dolore e sono ancora incredula. Non riesco a passare nelle vie vicine a casa sua perché il mio cervello bacato a volte si resetta e penso quello che penso sempre da quando ho la patente, cioè "già che sono qua, vado a trovarla". Il secondo dopo, quando realizzo che non la troverò di certo là, in quel momento, che ve lo dico a fare...

Mi sono trasferita in Veneto con residenza stabile insieme a quello che era il mio fidanzato, il quale ora risponde all'appellativo di marito. Non è andata proprio come lo avevo immaginato in un post... il mio abito da sposa non era del tipo dea greca (ma neanche principesco, ho evitato l'effetto "arancina coi piedi") e la torta non era neanche al limone, ma pare fosse molto buona. Dico "pare" perché dopo il taglio di rito mi sono distratta a parlare con gli invitati e poi non l'ho vista più. Gli invitati mi hanno riferito fosse molto buona, quindi mi fido.

La lontananza mi pesa parecchio. I miei amici vanno avanti con le loro vite, alcuni si sposeranno a breve, altri metteranno al mondo una nuova vita e mi fanno uscire dalla pelle per la gioia. Il dolore di non poter essere con parenti e amici aleggia sempre come una nebbia densa e scura attorno a me. Non posso essere accanto ai futuri genitori, mentre il pancione cresce e il bimbo scalcia e balla, probabilmente non sarò con loro quando nascerà, a meno che non stia covando un piccolo elefante e allora vedrei la fine di questa gestazione straordinaria. Non posso essere accanto ai miei parenti con gravi malattie stronze. Persone che amo soffrono e io non sono con loro, soffro io e loro neanche sanno perché io sparisco e quelle rare volte che ci sentiamo non dico niente, faccio finta che sia tutto okay. Non posso stare accanto alla mia nonnina, che di certo non ringiovanisce, ed è così preziosa per me che non posso immaginare una vita senza di lei.

Purtroppo e per fortuna io e mio marito lavoriamo, ma preferirei tornare a casa. Qualche sera fa ho avuto un momento incredibile di leggerezza e ho dimenticato dove mi trovassi: siamo andati al cinema a vedere il nuovo film de I soldi spicci, "Un mondo sotto social" (per dare una recensione spicciola: andate a vederlo, fa ridere e se siete siciliani fuori sede forse vi commuoverete come me quando Casisa proclama una serie di frasi fatte e detti popolari della nostra terra). Ad ogni inquadratura aerea del porto di Castellamare del golfo, ad ogni panorama familiare, mi scappava un sorriso, il sentire il mio dialetto e il nostro accento, forse il tutto... mi sono sentita per la prima volta a casa.
 
 
Mi manca tantissimo il mare, con il suo profumo e il suo suono

 

Ma l'unica persona che capisce, almeno in parte, la mia sofferenza è mio marito. Sì, quando me lo chiedono dico a tutti che voglio tornare a vivere in Sicilia, nonostante le strade asfaltate male e riparate peggio, i bus ogni due ore, i servizi in generale carenti e maledetti... io voglio tornare perché è là che sta il mio cuore. Ci sono cose che si possono esprimere solo in siciliano, tutto il colore del mondo sta lì.
Non so se voglio avere figli... sono a malapena di supporto per mio marito che è un adulto normodotato e sono già spossata così. Sono troppo stanca per la palestra, a malapena siamo andati a scarpinare in montagna quando le temperature lo permettevano ancora (ormai per me fa troppo freddo e i cieli grigi non mi attraggono). Abbiamo comprato una x box di seconda mano e la situazione non è certo migliorata, ci passo fin troppo tempo ma non riesco a limitarmi.

Quando parlo con gli amici o il marito li faccio sempre ridere. Se ci stiamo scrivendo, magari mi mandano pure un audio e li sento ridere per davvero. Mi dicono "mi fai morire - ho sputato il caffè". Quindi la mia vena tragicomica c'è ancora, solo che è talmente fitta la nebbia che non la vedo più e mi viene da chiedermi se esista ancora. Non faccio battute di proposito, ma loro ridono e a me piace così. Vorrei solo esserne capace a piacimento. Vorrei essere più spesso quella persona allegra, che ride e fa ridere... il mondo è così pieno di schifezze e di eventi imprevedibili e terribili... Vorrei più giornate di quelle del tipo che si raccontano dopo anni, dove fa male la pancia per il troppo ridere. Da troppo tempo la mia pancia molliccia non si contrae in quel modo.

Dopo anni, sono tornati i pensieri sabotatori. Tipo, a volte attraverso un piccolo ponte sopra un canale e guardando l'acqua lurida ma piena di ninfee mi viene da pensare "magari mi tuffo". Stupido, no? Non so nuotare. A volte invece mi sveglio la mattina e alzandomi penso "fanculo tutto, appena lui va al lavoro faccio una valigia e me ne torno dai miei". Follia di un momento, amo mio marito e non lo voglio certo lasciare.
Nonostante mi renda conto che sono solo pensieri dettati dallo stress, mi spaventano. Mi spaventa che un giorno potrebbero non sembrarmi così irrazionali, stupidi e/o assurdi. Ma non riesco a chiedere aiuto, come sempre rimango bloccata.
 
Ho scritto questo post di getto, non mi aspetto niente ma spero che mi faccia del bene, come in passato. Sono in un certo senso a casa.





lunedì 11 novembre 2019

Dove le cimici vanno a morire.

Nei venti giorni tra settembre e ottobre che ho trascorso in Veneto dal mio fidanzato tre cose mi saranno indelebili nei ricordi: le coccole, i dolori da ciclo che non si sono arresi neanche alle pillole e le cimici.
In quella zona ci sono cimici a bizzeffe e a quanto pare hanno scambiato l'appartamento per un limbo prima della finale dipartita. Ho trovato cadaveri rinsecchiti di cimici ovunque, in particolare sul pavimento del bagno e sul balcone (probabilmente troppo rincoglionite per trovare quel buco enorme sulla zanzariera che avrebbe permesso l'accesso in casa). Le ho viste spesso aggirarsi a mezz'aria, galleggiare come ubriachi alle cinque del mattino dopo una notte di bagordi; le ho viste sbattere contro la finestra della cucina (altra zona top per le bestiole in fin di vita) e ho assistito alla misera e indegna lotta per riconquistare la posizione sulle loro zampette. E mai che ci riuscissero: le ritrovavo dopo ore ancora sdraiati sulla schiena. Una pietà che non vi dico.
Io mi trovavo lì, nel posto dove le cimici vanno a morire, nel nordico fresco autunnale, mentre nella mia città vigeva ancora un certo tepore tale da permettere alla gente di andare a farsi il bagno al mare per poi farmi lievitare l'amaro in bocca mettendo foto sui social.
Insomma, io là con la felpa e gli stivali, loro in acqua col bikini. La mia Maledizione di Fine Estate (MFE) quest'anno si è evoluta. Ebbene sì, ogni anno mi colpisce questa sfiga puntualissima. La genesi risale ai miei primi cicli mestruali: ogni anno, che sia settembre o ottobre, il mio ciclo coincide con l'ultima settimana di caldo della stagione balneare. Alla fine di quei fatidici giorni, il primo giorno utile per farmi una nuotata in mare è un miraggio: quel giorno c'è sempre mal tempo e le temperature andranno sempre più calando fino ad arrivare all'inverno.




Il mio blog si è trasformato in una cimice negli ultimi sei mesi. Il mio ragazzo ad un certo punto ha suggerito di scrivere l'ultimo post per dire addio ma solo ipotizzarlo mi ha messo tristezza. L'ho messo da parte è vero, eppure non riesco ad abbandonarlo del tutto... leggo i blog altrui ogni tanto (mi ci vorrà un po' di tempo per rimettermi in pari), non ho più commentato, sono una lavativa.
Semplicemente, non riesco a decidermi di chiudere, mi sembra sbagliato: ci ho messo così tanto impegno negli anni, mi è stato d'aiuto più di quanto abbiano fatto certe persone in carne ed ossa, mi sono aperta qui come di rado faccio nel mondo reale, qui dentro ci sono io.
Qui sono davvero io. E di questo non posso fare a meno.

lunedì 27 maggio 2019

Un'altra storia di tragicomica inettitudine.

La mia autostima ha sempre oscillato tra un "prenderò a calci il mondo, ce la farò" e un "non ce la posso fare, sono un relitto".

Qualche settimana fa stavo in aeroporto ad aspettare il volo del Fidanzato che, tanto per ravvivare un altro poco l'ansia abbandonica, era in ritardo.
È tardi, circa mezzanotte, quando prima del suo atterra un altro aereo.
Dalle porte scorrevoli si riversa una marea di elegantoni in completo, molti con ancora la cravatta perfettamente annodata sul collo.
Ad un certo punto la gente in attesa davanti a me inizia a mormorare...
-Hai visto chi c'è?
-Ma è davvero lui?
-Ma che davvero?

Poi ad alta voce
-Mi fai un autografo?
-Facciamo un selfie?

Signori e signore, dopo un perentorio NO vedo emergere dalla piccola folla un ciuffo di capelli che, effettivamente, mi è noto ma nell'attimo di sorpresa sono rimasta pietrificata.
Intanto Ficarra in persona mi passa accanto e attraversa la sala con falcate agili e rapide.
Ficarra non ha esitato un attimo e si è divincolato dalla gente con consumata abilità. Lo posso pure capire... appena atterrato, è tardi, sarà ancora lontano da casa sua, magari aveva appena finito di lavorare prima di andare in aeroporto, magari aveva pure mangiato qualcosa tra gli sbalzi di pressione che adesso premeva per uscire (vi assicuro che non è un'esperienza augurabile)... chi avrebbe voglia di fermarsi e prolungare il tragitto verso casa?

Ormai me lo ero giocata, almeno Picone lo volevo salutare, magari dirgli "Grazie"; avrei voluto una foto con lui, sarei stata una piccoletta felice (Ficarra è più alto di quanto immaginassi) ma non volevo approfittarne.
Cinque minuti dopo, tra gli ultimi di quel volo, vedo arrivare l'adorabile faccino sorridente di Picone.
Lo stesso ragazzo che aveva tentato di tagliare la strada a Ficarra per farsi fare autografo e selfie, fa lo stesso a Picone e stavolta è più determinato nel placcaggio e anche più fortunato: ottiene l'agognata foto con una celebrità nostrana.
Osservo quell'uomo gentile nonostante la stanchezza che fa due foto e stringe la mano a qualcuno, poi viene verso di me e il mio cuore si è fermato.
Visto che il cuore si è fermato, evidentemente non mi è arrivato più sangue e ossigeno al cervello; allorché Picone finalmente mi passa vicino, non avendo più sangue in circolo, invece di dirgli una cosa con un minimo di intelligenza, che fosse un "Grazie per i vostri film" o "Sei un grande" o un misero "Ciao" , lo saluto sventolando la mano e sorridendo come una minorata.
Cioè, gli ho fatto ciao con la mano.
Ciao ciao come i bambini, ad un uomo famoso.

Mi sono data della scema da sola.
Anzi, doppiamente scema.

Ciao dignità, ciao ciao!



venerdì 12 aprile 2019

Le repliche non sono solo in tv. E qui si mangia pure.

Dovete sapere che per noi della provincia di Trapani, quando ci si avvicina al monte San Giuliano, è d'obbligo salire a Erice.
Anche se ci si è andati decine di volte, anche se hai le memory card piene di foto fatte a Erice, se sei nei dintorni con gli amici non importa cosa, tu ci vai.
Anche coi nuvoloni, pure se si cammina in mezzo ad un banco di nebbia; anzi, tra i sentieri di pietra ammantati nella nebbia è ancora più forte la sensazione di passeggiare in un villaggio medievale.
Ci vai soprattutto se vuoi digerire tramite movimento fisico e aria pulita, dopo aver svaligiato un all you can eat di cucina cino-giapponese (perché scegliere se puoi avere entrambe?) come un naufrago appena tornato alla civiltà da un'isola deserta priva di patate e di fuoco (dalle mie parti una volta si diceva cu mangia patate un more mae, chi mangia patate non muore mai).
Sarò andata a Erice almeno mezzo centinaio di volte, eppure ad ogni escursione scopro scorci nuovi. Credetemi, anche se sono una figura fantozziana credetemi: un giorno non basta per quel piccolo borgo pieno di stradine che salgono e scendono e di scalinate in pietra. Non c'è soltanto il Castello di Venere, la Chiesa madre e la torre tutti in pietra, non c'è soltanto la vista su Trapani da un lato, Val d'Erice e Monte Cofano dall'altra. Non c'è solo il piccolo giardino labirintico e il sedile degli innamorati, dove chi si siede alle estremità può chiacchierare con dei sussurri ( 'sti medievali, mica tutti scemi).
C'è, insomma, una serie infinita di piccoli dettagli incantevoli.


In questo punto la nebbia era poca, ma in altri punti era così densa e fitta da impedire la vista dopo un paio di metri.

Altro motivo per tornare a Erice è il suo delizioso dolce tipico: l'Ericina, o Ericino. Si sa, noi siciliani con maschili e femminili siamo piuttosto flessibili.
Chiamato anche Genovese, è un dolce di pasta frolla con un ripieno di crema pasticcera aromatizzata al limone, cotta in forno (mica possiamo friggere tutto eh, un po' di contegno) e spolverata infine con zucchero a velo. Vi assicuro che nessuno, NESSUNO, è troppo sazio per non mangiare un'ericina.
Pare che la pasticceria con la ricetta originale, ghermita dall'antico monastero di San Carlo, sia quella di Maria Grammatico: chiedete di lei o cercate l'insegna, ma sinceramente non ricordo se vi sia scritto il nome della pasticcera oppure il nome del monastero, comunque si trova in un angolo di una piazza, c'è una banca e il posto è di fronte, in una stradina con una leggera discesa. Armatevi anche di pazienza se ci andate in periodi o orari molto turistici perché spesso e volentieri c'è da prendere il numeretto come dal salumiere e a volte la fila arriva fino alla porta; perciò non fatevi spaventare dalla folla, mettete in conto di perdere del tempo e fate la fila tranquillamente. Anche le torte e le crostate sono ottime, inoltre ci sono delle varianti di ericine con il ripieno di nutella oppure di ricotta.
Fate attenzione e allenatevi a fare la faccia di bronzo perché molti ristoranti hanno davanti all'uscio una persona sorridente, fissa lì con il solo scopo di procacciare clienti e allettare con l'idea di pranzo/cena/aperitivo, dipende dall'orario del vostro passaggio.

Quelli in foto sono stati un po' maltrattati durante il viaggio, per questo lo zucchero a velo è scutulato, cioè... come dire in italiano... si è scosso via. Però erano deliziosi e non sono rimaste briciole, fate voi che mentre prendevo il telefono per fotografarli già qualcuno era stato prelevato dal vassoio.




Spero di farvi venire presto a rica (la voglia di cose buone) con altri succulenti esempi di tipici dolci siciliani, ovviamente non fatti da me: vi voglio far viaggiare per la Sicilia, mica vi voglio far scappare via 😂

giovedì 7 marzo 2019

Run to you.

Manco da un po', il morale è stato abbastanza basso ultimamente ed è ancora in corso una lenta ripresa.
Sono stata dieci giorni in Veneto dal mio ragazzo e non ho perso tempo per deprimermi. Già sull'aereo, con la sensazione delle mie viscere sballottate dai cambi di pressione, avevo nelle orecchie le mie fidate cuffie rosse e una playlist di canzoni tristi. Durante il tragitto notturno aeroporto-casa la malinconia non poteva che circondarmi e ammantarmi, quasi una coccola invisibile nel buio.
Sin da quel momento, ho avuto idea per un post, che per la precisione sto scrivendo adesso: canzoni tristi, di quelle che fanno venire il magone, che stringono la gola, che fanno venire voglia di piangere. Per me, alcune canzoni di questo tipo sono le seguenti:





Lucio Battisti, Pensieri e parole.
In questo video c'è una breve intervista con spiegazione del testo della canzone, che io sapevo fosse stata scritta da Battisti insieme a Mogol e che la seconda voce raccontava di un fatto accaduto durante la giovinezza di Mogol.
"Davanti a me c'è un'altra vita
la nostra è già finita
e nuove notti e nuovi giorni
Cara, vai o torni con me
Davanti a te ci sono io
(dammi forza mio Dio)
o un altro uomo?
(chiedo adesso perdono)
e nuove notti e nuovi giorni
Cara, non odiami se puoi"



Dalida, Bang Bang.

Bella anche la cover precedente cantata da Milena Cantù (l'originale è di Sonny e Cher), la cui voce mi piace tantissimo ma Dalida è sempre un gradino sopra a tutte. La tristezza che esprime la voce di Dalida è tangibile, ferisce e brucia come i tagli provocati dai fogli di carta; tutta quella tristezza e malinconia sono cose che non si potrebbero recitare, non con tutta la sua intensità.
"Son passati gli anni e poi
noi ci siamo innamorati
Correvamo per i prati
Tu scherzavi insieme a me, bang bang
per ridere, bang bang
sparavi a me, bang bang
e vincerà, bang bang
chi al cuore colpirà.
Certo non scherzavi tu
quando mi sparavi al cuor
nel mirar non sbagliavi mai
prova a negare se tu vuoi
 Ora non mi ami più
ed ho sentito un colpo al cuore
quando mi hai detto che
non vuoi stare più con me
bang bang, e resto qui
bang bang, a piangere
bang bang, hai vinto tu
bang bang, il cuore non l'ho più"



Amy Winehouse, Back to black.

Un'altra donna a pezzi con un grande talento, il cui successo ancora una volta non è stato sufficiente per un'altra vita e la salvezza. Già appena uscita mi faceva effetto facendomi tremare il fiato.
"With his same old safe bet
Me and my head high
and my tears dry
Get on without my guy
You went back to to what you knew
So far removed from all that we went through
and I tread a troubled track
My odds are stacked
(...)
We only said goodbye with words
I died a hundred times
You go back to her
and I go back to black"

(Con la sua solita vecchia scommessa sicura/ Io e la mia testa alta/ e le mie lacrime asciutte/ Vado avanti senza il mio uomo/ Sei tornato a quello che conoscevi/ Così lontano da quello che abbiamo passato insieme/ E ho percorso una strada dissestata/ Le circostanze mi sono sfavorevoli (...) Ci siamo detti addio solo a parole/ Sono morta un centinaio di volte/ Tu sei tornato da lei/ e io torno in lutto).



Good Charlotte, S.O.S.

Adoro l'intero album The Chronicles of life and death dei Good Charlotte, è uno dei miei preferiti in assoluto e secondo me è il loro miglior album, dove viene fuori al meglio la capacità di Joel Madden di modulare la voce, di comunicare, di raccontare in note. Non è semplice riuscire a fare quello che hanno fatto i Good Charlotte con questo album, non è da tutti produrre canzoni con una base che potrebbe essere definita persino "allegra" e nel frattempo cantarci su un testo così cupo, non soltanto per una traccia (come questa) ma per quasi tutte. Davvero è un racconto di vita e di morte, di positivo e di negativo, di gioia e di tristezza. 
Insomma, conoscere i Good Charlotte solo per loro travestiti da cibo nel video di I just wanna live è molto, molto riduttivo, e un pochino ingiusto se devo dirla tutta.
"I've been stranded here and I'm miles away
making signals hoping they save me
I lock myself inside these walls
'cause out there I'm always wrong
I don't think I'm gonna make it
So while I'm sitting here
on the eve of my defeat
I write this letter and hope it saves me

Is anybody listening?
Can you hear me when I call?
Shooting signals in the air
'cause I need somebody's help
I can't make it on my own
So I'm givin up myself
I anybody listening?
...
I'm lost here
I can't make it on my own
I don't want to die alone
I'm so scare
drowing now
reaching out
Holding onto everything I love
crying out
dying now"

(Mi sono incagliato qui e sono miglia lontano/ facendo segnali e sperando che mi salvino/ Ho chiuso me stesso dentro queste mura/ perché là fuori sono sempre sbagliato/ Non penso di farcela/ Quindi mentre sto seduto qui/ alla vigilia della mia sconfitta/ scrivo questa lettera e spero che mi salvi/ Qualcuno sta ascoltando?/ Potete sentirmi quando chiamo? Lanciando segnali nell'aria/ perché ho bisogno dell'aiuto di qualcuno/ Non posso farcela da solo/ Mi sto arrendendo/ Qualcuno sta ascoltando?/.../ Sono perso qui/ Non posso farcela da solo/ Non voglio morire solo/ Sono così spaventato/ Annegando adesso/ protendendo/ Aggrappandomi ad ogni cosa che amo/ piangendo/ morendo)



Muse, Madness.

Mi basterebbe citare il minuto 4:08 e sarebbe già abbastanza; tutta la canzone è un lento progredire fino a quel magico momento catartico, quella specie di urlo liberatorio, quell'attimo di perfetta chiarezza che si prova di rado e che ci fa svoltare nella vita. Altro che pelle d'oca, le piume si arruffano.
"And I have finally seen the light
And I have finally realized
what you mean
And now I need to know if it's real love
or is it just madness
keeping us afloat
...
And I have finally realized
I need to love
Come to me
just in a dream
Come on and rescue me
Yes, I know, I can be wrong
Maybe I'm too head-strong"

(E adesso ho finalmente visto la luce/ e ho finalmente realizzato/ cosa significhi/ E adesso ho bisogno di sapere se è vero amore/ o è solo follia/ che ci tiene a galla/ .../ E ho finalmente realizzato/ ho bisogno di amare/ Vieni da me/ come in un sogno/ Vieni e salvami/ Sì, lo so, posso sbagliarmi/ Forse sono troppo testardo)




Massimo Ranieri, Perdere l'amore.

Non mi so spiegare il perché ma Ranieri a pelle non mi piace, mi infastidisce addirittura quando parla, eppure questa canzone cantata da lui mi da sempre i brividi, prevaricando il naturale quanto indefinito senso di antipatia che mi procura. Cantata da altri non ha la stessa forza, la stessa energia, anche se l'ho trovata piacevole quando una volta la cantò con Nina Zilli in televisione (o forse era "Mi sei scoppiata dentro il cuore", non ricordo bene).
"Perdere l'amore
quando si fa sera
quando sopra il viso
c'è una ruga che non c'era
Provi a ragionare
fai l'indifferente
fino a che ti accorgi
che non sei servito a niente
E vorresti urlare
soffocare il cielo
sbattere la testa mille volte contro il muro
respirare forte il suo cuscino
Dire è tutta colpa del destino
se non ti ho vicino
Perdere l'amore
Maledetta sera
che raccoglie i cocci di una vita immaginaria
Pensi che domani è un nuovo giorno
ma ripeti: non me l'aspettavo"



The Rasmus, Run to you.

Incredibile quanto rimangano impresse certe cose vissute, ascoltate, sentite, provate nell'adolescenza, anche a distanza di anni. Rimango sempre impressionata quando, come con questa canzone, passano anni (otto, per esempio) senza mai ascoltarla, la ritrovo all'improvviso e non solo mi ricordo ancora tutte le parole, ora che la mia memoria qualche volta fallisce, ma ricordo anche come mi sentivo allora, a cosa mi faceva pensare, a come certe volte mi stringesse alla gola. E in quanto a canzoni depressive, questo gruppo tra il 2003 e il 2008 (cioè il periodo in cui li ho seguiti, perché ci sono stati altri album sia prima che dopo) ne ha sfornate parecchie. Però mai, mai avrei immaginato di sentirla come una specie di colonna sonora di base, mentre saluto la persona amata, prima di partire da sola, sapendo di non poter rimanere con lui, almeno per un po' di tempo.
"Tomorrow's taking me away from you
like a jealous lover
Kiss me one last time
before I go down this broken road I follow
(...)
I will run to you
when my journey is over
Wait for me
Keep our love alive
I will dream of you
'till I reach the sun
then I'll turn around and run to you
I hate to see you cry
The way you look away
makes me wanna die"

(Il futuro mi sta portando lontano da te/ come un amante geloso/ Baciami un'ultima volta/ prima che io vada per questa strada rotta che sto seguendo/ .../ Correrò da te/ quando il mio viaggio sarà finito/ Aspettami/ Mantieni vivo il nostro amore/ Sognerò di te/ finché raggiungerò il sole/ allora mi volterò e correrò da te/ Odio vederti piangere/ Il modo in cui distogli lo sguardo/ mi fa morire)




 
Queste sono solo sette canzoni che mi fanno reidratare i bulbi oculari, sette è un numero che mi piace ma voi potete scrivermi nei commenti tutte le canzoni che ritenete opportune, se vi va di condividere un po' di tristezza. Quali sono le canzoni che vi commuovono spesso e volentieri?
Ogni tanto piace anche a me fare del buon cuttigghio 😉











(PS: in siciliano cuttigghio vuol dire sparlare, raccontarsi i fatti altrui; a me piace usarlo in senso ironico, non ho assolutamente intenzione di raccogliere informazioni da raccontare altrove né insultare in nessuna maniera: è un invito a chiacchierare)

giovedì 31 gennaio 2019

Obiettivo ottimismo.

Come sapete, il mio percorso di miglioramento caratteriale è sempre in corso. Oltre all'obiettivo di schiudermi, ho recentemente aggiunto quello dell'ottimismo. Anzi, non ambisco a tanto dopo una intera vita di pessimismo cronico.
Mi basta abbassare il livello di aspettative, previsioni e asserzioni negative.



Quindi, in questa rinnovata corrente, ho sviluppato questo piccolo esercizio per i pensieri positivi, cioè un breve elenco:

  1. Ho la faccia da bluff.
  2. Ho un buon autocontrollo.
  3. Nel pericolo a volte riesco a limitare i danni.
La spiegazione per i punti 1 e 2 è che il mio fidanzato, da bravo giuda, ha voluto farmi una sorpresa. Semplicemente, dopo aver cenato a casa dei miei suoceri, il campanello ha suonato, la Suocera è andata ad aprire ed eccolo lì. L'infame è arrivato senza annunci, senza indizi, senza una precedente parola incriminante. Ed io, nonostante l'assoluta sensazione di smarrimento, esterrefatta ed incazzata per non aver avuto un avviso, sono stata in grado di non svenire. Ho sorriso sempre e non l'ho preso a scappellotti sulla nuca per l'inganno.
Mi ci è voluta almeno un'ora per realizzare che lui era davvero insieme a me e non dalla parte opposta dell'Italia, che sarebbe stato per tre giorni tutto per me, per lasciarmi andare alla felicità.

Il punto 3 si riferisce a ciò che mi è successo al ritorno da una uscita serale. Avevo delle chiavi nuove, perciò non potevo sapere che c'era stato un disguido e che non funzionavano. Come potevo immaginare? Ne ho provata una e non apriva, ho provato la seconda e non entrava, ho provato la terza e non andava; allora ho riprovato con la prima, poi con la terza, poi la seconda e così avanti per un quarto d'ora. Mi sono incazzata, non potevano vincere le chiavi, capite? Allora, mentre la parte razionale del mio cervello mi diceva di telefonare a casa e farmi aprire, una parte più istintiva e cocciuta mi spingeva a provare, provare, provare, e spingere la porta, tirarla, provare, inveire, spingere la chiave, forzarla a destra e sinistra... avanti così finché ho sentito da dietro la porta la voce assonnata di mia madre che chiedeva se ero io.
Insomma, mi ha fatta entrare mia madre alle quattro del mattino dopo avermi sentito inveire.
Appena sono entrata mi sono accorta, grazie all'impietosa luce bianca, che il mio pollice in quella lotta si era gonfiato ed era diventato bluastro. Il giorno dopo il pollice era il doppio del normale e ha subito variazioni di orribili colori tra nero, verde, blu e viola.
E quella dannata porta non si è neanche aperta.

Il lato positivo? Beh, nella foga di spingere e tirare quella chiave potevo inciampare sul tappetino, cadere, sbattere la testa a terra rompendomela e colorare l'atrio di rosso vivo e striature bianche.


Yuppy!!!

 

Mi avevan detto "Questo ghiaccio non lo scioglierai"
Le tue strade saran sempre più fredde
È un compromesso come il cash che non basta mai
Le tue tasche saran sempre più strette
Ma io mi sento come il sole che tra poco esploderà
e intanto brucia ancora
Mi avevan detto che sarebbe passata con l'età
e invece brucia ancora.

mercoledì 16 gennaio 2019

Sette giorni.

La prima settimana dell'anno è trascorsa all'incirca come ogni anno: in stile montagne russe, con l'umore molto alto e molto basso, alternativamente in pratica ogni ora di ogni giorno. I motivi questa volta non mi sono mancati: in sette giorni il mio fidanzato è ripartito per tornare al lavoro in Veneto, ho compiuto un altro passo verso il temuto trentesimo compleanno, ho avuto un altro virus dell'influenza e ho pestato due cacche in due occasioni non consecutive. Non mi succedeva da anni, credo all'incirca da sei anni o addirittura di più, poi ne becco due in una settimana.
Se questi sono i presupposti per il nuovo anno, non so in quali condizioni arriverò alla fine. Anche se, volendo essere ciecamente ottimisti, meglio pestare una cacca che ritrovarsi con il piede infilzato da un pezzo di ferro come mi è successo qualche mese fa.
Speriamo porti bene, santa pazienza.

Un bocciolo di speranza.

Le mie letture sono state anch'esse specchio della mia vita: gli eventi me ne hanno tenuta lontano, ne ho avuti pochi, ma ho apprezzato maggiormente il tempo trascorso insieme. Soprattutto l'ultimo libro, ancora da terminare, mi sta piacendo parecchio anche se si tratta di un saggio (e io i saggi non li leggo mai). Mi auguro di terminare Il secondo sesso della scrittrice e filosofa francese Simone de Beauvoir entro dicembre, intanto me lo sto gustando pian piano. Non so se scriverò un post a riguardo perché sono arrivata a pagina 179 e ho già consumato nove pagine per appunti e riflessioni, quindi chissà quanto materiale avrò prodotto alla fine...
Se siete appassionati del genere saggio, se volete conoscere il vero femminismo, se volete provare a capire come, quando e perché si è arrivati a questa particolare forma di cultura dove l'uomo ha una posizione privilegiata e il sesso femminile è sempre il secondo, l'Altro, la scartina, allora ve lo consiglio. A parte alcuni termini un po' troppo forbiti (per i quali vi basterà comunque una breve ricerca sul vocabolario) è molto scorrevole e comprensibile, anche se vi aiuterebbe aver frequentato un liceo umanistico. Vi assicuro che vi farà riflettere.

Ecco i paragoni con l'anno precedente, poi per questo primo post è tutto:

  • Libri letti in totale 8 + 1 incompleto. Due in meno rispetto all'anno precedente.
  • 3044 pagine, 586 in meno.
  • 5 gialli (genere che va sempre per la maggiore), due saggi, un romanzo e uno che non saprei definire. Di un saggio ve ne ho già parlato, l'altro è Una giornata nell'antica Roma di Alberto Angela, è pieno di curiosità ed è scritto per come parla: fluente, semplice e preciso. Il libro che non saprei in quale categoria inserire me lo ha regalato il mio fidanzato per il mio precedente compleanno e si tratta di Avremo sempre Parigi di Serena Dandini. A quanto pare parlo ancora così tanto di quell'unico viaggio a Parigi che si è reso evidente che avrei gradito un libro pieno di curiosità su questa bellissima città (facendomi allungare la lista di cose da vedere e da fare se mai un giorno potrò tornarci).
  • 2 autori italiani e 7 autori stranieri.
  • 6 autrici e 2 autori.